Piccolo romanzo by Matilde Serao

Piccolo romanzo by Matilde Serao

autore:Matilde Serao [Serao, Matilde]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2015-09-06T22:00:00+00:00


— Bene: fate preparare le valigie: parto con quel treno.

Ma quando il cameriere fu uscito, per togliersi a quelle strane apparizioni, egli prese la terza lettera, la busticina dove vi era soltanto un biglietto da visita, e che due volte aveva tentato di leggere, per una bizzarra idea, attraverso la busta. Apri questa volta. Era un biglietto che portava questo solo nome: Maria. E Maria scriveva, semplicemente:

«Oggi, portatemi una rosa.»

III.

Il piccolo coupè di don Francesco, fermato innanzi alla villa Nada, al Macao, innanzi al cancello stranamente ornato, era pieno di rose. Don Francesco era andato dapertutto, per trovare queste rose: dai fiorai più ricchi di fiori, ne aveva trovate pochissime, tutte fredde, tutte scolorate, tutte mangiate dalla brina, come bruciate, con gli orli già nerastri della morte. Era andato al Pincio, dove, al sole caldo, la Zamperini ha la sua serra: ma le rose erano piccole e come gelate. Infine era andato a villa Savella, fuori porta s. Paolo, dove la povera folle di casa Savella, donna Lucrezia Savella, l'ultima di casa Savella, colei che languiva in una dolce e molle follia, coltivava il gran giardino, tutto rose. Ogni tanto, pietosamente, gli amici di casa Savella andavano a passare un quarto d'ora con la pazza, che li conduceva subito in giardino, fra le rose, fra i profumi. Era una creatura di quaranta anni, magra, magra, vestita di nero, con un gran grembiale di cotonina azzurra, per non sporcarsi di terriccio.

— Volete delle rose? — disse donna Lucrezia Savella, con la sua voce gutturale.

— Una soltanto.

— Anche venti, anche cinquanta.

E la folle si mise a tagliarle, con un coltellino sottile, e ne raspava gli steli per toglierne le spine: e le buttava leggermente a don Francesco.

— A chi le date? — A una persona che vi vuol bene?

— No, donna Lucrezia.

— Allora, a una che amate?

— Sì.

E se ne andò, carico di rose, empiendone il piccolo coupè, non osando muoversi per non schiacciarle. Villa Nada taceva sotto il sole d'inverno. Entrò nell'immenso salone terreno, stranamente diviso, dove donna Maria di Lanciano si dondolava in una grande poltrona, guardandosi le punte delle scarpe, ricamate in oro e di rosso. Ella era vestita di una ampia tonaca di lana bianca, senza forma alla cintura, vestito monacale, quasi ieratico, quasi bizantino: le maniche erano doppie — strettissime le prime, abbottonati i polsi da bottoncini di oro; ampie le seconde e ricadenti sulle spalle. I capelli neri rialzati sulla nuca, in gran disordine, attraversati da un pugnaletto di acciaio: alle delicate orecchie pendevano due enormi smeraldi, che, battendo sulla fine pelle del collo, la rendevano rossa.

— Quante rose, quante rose, Francesco! — disse ella, levandosi e accorrendo a lui.

La tonaca si era distesa, con pieghe rigide, come nei vecchi mosaici. Con le piccolette mani, che sparivano sotto la punta angolare delle maniche, ella prese le rose, a fasci, levandogliele, caricandosene, scomparendo dietro a quel fascio che le posava sul petto. E, girando per il salone, ne buttava dappertutto: sui divani, dove le rose nascosero le



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